L’uovo di colombo

Gli accertamenti che recuperano le plusvalenze sulle cessioni di terreni agricoli venduti ad un prezzo inferiore a quello rivalutato (con versamento di imposta sostitutiva), sono motivati in modo sempre più bizzarro e interessante.

In un primo momento, l’Ufficio aveva affermato che, se la cessione avviene a un prezzo inferiore al valore di rivalutazione, quest’ultima diviene priva di efficacia e tornano applicabili le regole ordinarie di determinazione delle plusvalenze. Sicché il contribuente, dopo aver versato l’imposta sostitutiva a seguito di rivalutazione, poteva trovarsi nella situazione di dover versare anche le imposte relative alle plusvalenze calcolate sull’originario costo d’acquisto, come se la rivalutazione non fosse mai avvenuta, tamquam non esset. A meno che non avesse provveduto ad nuova rideterminazione del valore del terreno con l’indicazione in perizia di un valore inferiore rispetto a quello indicato in precedenza, sopportandone i relativi costi. Successivamente, anche a seguito di taluni orientamenti giurisprudenziali favorevoli al contribuente, l’Agenzia delle Entrate ha ricalibrato il tenore dei precedenti orientamenti, ritenendo valida la rivalutazione, ad esempio, qualora lo scostamento del valore indicato nel medesimo atto rispetto a quello periziato fosse “poco significativo” (risoluzione n. 53/E del 2015) o nel caso in cui il contribuente avesse comunque indicato in atto il valore rivalutato e si fossero versate le imposte di registro, ipotecarie e catastali sul valore di perizia indicato.

In sostanza, il venditore, in ipotesi di corrispettivo inferiore a quello periziato, può avvalersi della rivalutazione ai fini del calcolo della plusvalenza solo se ed in quanto sia stata dichiarata in atto questa differenza e il compratore abbia versato maggiori imposte di registro, ipotecarie e catastali calcolate sul valore periziato e non sul prezzo di acquisto inferiore, di modo che l’indicazione in atto del valore rivalutato sia vantaggiosa per il cedente, che potrà evitare i costi di una nuova perizia, e svantaggiosa per l’acquirente, che dovrà versare le imposte d’atto in misura maggiore.

Qualcuno, a Roma, deve avere pensato: “L’uovo di Colombo!”. Peccato che, così, ogni barlume di razionalità e di determinazione logica del presupposto di imposta sia andato in fumo.

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